“Jasper Mall”: il documentario su un centro commerciale in fin di vita

Un nuovo sottogenere del documentario sembra starsi espandendo: è possibile affermare, infatti, che ultimamente, il mondo del documentario abbia assistito alla crescita di un filone narrativo che ha a che fare con l’”esplorazione del Non Luogo”, e che, allacciandosi agli studi dell’antropologo francese Marc Augé, riflette su tutte quelle terre di transizione, quelle insolite zone di passaggio che annullano, temporaneamente, l’individualità di chi li abita.


Augé descrive i “non luoghi” come posti in cui “L’individuo […] perde tutte le sue caratteristiche e i ruoli personali” e in cui si assiste ad una vera e propria massificazione di ogni differenza culturale; Stazioni, aeroporti, centri commerciali: il trionfo dei non luoghi è il reale protagonista dei processi di globalizzazione, ed è in quei posti transitori simbolo della contemporaneità, luoghi in cui il flusso vitale è in stand-by, che servirsi di una lente di ingrandimento per osservarli da molto vicino diventa un’operazione spesso incredibilmente interessante; Documentari come Down in Shadowland (2014) di Tom DiCillo, o come parte dell’opera di Frederick Wiseman, condividono il modus operandi di osservare le forze che agiscono su un determinato luogo senza forzare una narrazione in particolare, e lasciare che le storie, con tutte le loro contraddizioni e stranezze, si disvelino allo spettatore in maniera pressoché naturale, per quanto la presenza della macchina da presa lo permetta.


 Questa operazione è la stessa messa in atto dai registi Bradford Thomason e Brett Whitcomb per Jasper Mall (2020) che, presentato allo Slamdance Film Festival (ovvero il festival “Des Refusés” creato da un gruppo di rifiutati al Sundance Film Festival), e distribuito da Amazon Prime Video, pone l’attenzione verso un piccolo centro commerciale “in via d’estinzione” a Jasper, una città dell’Alabama che conta appena 14.000 abitanti. A condurci nel limbo tra i corridoi del Jasper Mall, un uomo di nome Mike McClelland, un personaggio à la Tiger King (la somiglianza con Joe Exotic è innegabile) che prima di diventare l’addetto alla sicurezza e alla pulizia del centro commerciale, era il proprietario di uno Zoo; il nostro Virgilio ci guida attraverso gli spazi del centro, grazie alla ripresa a seguire che ci lascia osservare il retro del suo mullet biondo (vengono in mente le scene di Elephant (2003) di Gus Van Sant, in cui seguiamo gli studenti tra i corridoi semivuoti della Columbine) mentre ci viene raccontata la storia del luogo in cui troviamo. La particolarità del Jasper Mall sta nel fatto che, dal 1981, anno in cui fu inaugurato, nulla è cambiato in maniera sostanziale: il centro commerciale sembra fermo nel tempo, ad eccezione del fatto che sembra starsi svuotando progressivamente.


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Il Jasper Mall, una volta sostenuto dalla presenza dei grandi magazzini “J.C. Penney" (fallita nel 2020 a causa della crisi dovuta alla pandemia), resta in bilico grazie ad altri negozi ancora in piedi come “Bath And Body Works”, e ad attività locali che sembrano star scomparendo: “Robin’s Nest”, un negozio di fiori gestito da una donna che oramai lavora quasi solo per recapitare composizioni floreali ai funerali; “Master Cuts”, un salone da parrucchiere dove lavora una giovane ragazza che sogna di scappare dalla piccola realtà di Jasper; il salone di bellezza “Nails Galaxy” e “Jewelry Doctor”, un gioielliere che ricorda i tempi andati in cui c’erano quasi sempre clienti alla sua porta. I visitatori di Jasper, invece, sono perlopiù anziani che utilizzano gli spazi del centro come fossero una piazza di paese: 4 uomini si incontrano per giocare a Domino ogni giorno, signore si recano ad acquistare prodotti di bellezza, un anziano barbuto si prepara per impersonare Babbo Natale; un quartetto Gospel si esibisce difronte a un “Subway”; è solo durante il periodo della “Fair”, ovvero quando un luna park itinerante si stabilisce nei pressi del Jasper, che famiglie e adolescenti si recano al centro per qualche ora di spensieratezza. Per ognuna di queste persone, il Jasper Mall ricopre un ruolo ed ha un significato emotivo diverso: l’addetto alla sicurezza lo ricorda come il luogo in cui cominciò la storia d’amore con sua moglie che all’epoca lavorava proprio in uno di quei grandi magazzini; per gli anziani è un luogo d’incontro dove c’è la sicurezza di trovare qualcuno con cui fare una partita a carte; per una giovane coppia è un luogo in cui trascorrere gli ultimi momenti insieme prima di partire per il college.


 Tutti sono d’accordo su una cosa, però: il centro commerciale somiglia ad una comunità, una città in cui tutti si conoscono come vicini di casa. Osservando i negozi chiudere uno dopo l’altro, sembra di assistere infatti ad una sorta di gentrificazione di un quartiere che, invece di trasformare un’area da proletaria a borghese, svuota ogni magazzino dalla sua identità lasciando al suo posto grigi posti vuoti condannati a riempirsi di polvere, costringendo i venditori ad accettare la realtà contemporanea dello shopping online (la distribuzione da parte di Amazon Prime Video è più che ironica); si tratta del paradosso della vittoria del capitalismo sul capitalismo stesso. Il Jasper Mall rivela così una parentesi identitaria molto forte all’interno di un luogo che ha un look da “every-other-mall”, ovvero identico ad ogni altro centro commerciale del pianeta, e che apparentemente sembra non avere nessun collegamento con la vita al di fuori di esso.


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Jasper Mall oggi, Google Earth

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Ma perché “Jasper Mall” ci fa stare male per un centro commerciale che sta morendo più che per le persone che lo stanno abbandonando?


 Per i due registi Thomason e Whitcomb, si tratta di un processo nostalgico: durante la loro infanzia ed adolescenza, i centri commerciali sono stati un punto cardine, dove trascorrere giornate insieme ai coetanei; “Quando ci siamo fatti abbastanza grandi per poterci andare da soli, [i nostri genitori] ci accompagnavano lì, e passavamo tutto il giorno in quel posto, con gli amici” dice Thomason in un’intervista per una rivista locale, parlando dei centri commerciali a cui erano affezionati, “Brett ed io frequentavamo entrambi il BayBrook Mall, o L’Almeda Mall (Texas) […] agli Arcade, a comprare CDs da Sam Goodie, a mangiare pizza nella zona ristoranti e ad osservare le nuove Reebok Pumps che desideravo avere prima dell’inizio della scuola” continuano i registi.

Guardare ad un centro commerciale abbandonato è come ritrovare i propri giocattoli in cantina, consapevoli che non serviranno più a nessun altro, e che sono oramai condannati a rimanere vuoti oggetti di plastica per sempre.


Quello che “Jasper Mall” mette alla luce è uno scenario distopico a cui non possiamo sfuggire: proviamo dispiacere per un luogo a cui abbiamo voluto dare un’anima, che altro non è che l’emblema del capitalismo — un posto nato per essere svuotato da ogni sentimento — che diventa invece, più che uno sfondo, un personaggio per cui proviamo affetto, che vorremmo non sparisse mai dalla nostra memoria. Certo, si tratta di un surrogato della realtà, eppure, guardando quelle fotografie risalenti agli anni ’80, in cui tutti i parcheggi erano pieni e tutti i corridoi affollati, non possiamo fare altro che provare un’immensa e profonda nostalgia.


Arianna Caserta