7 Video Musicali D'Autore, Spiegati

Quello del videoclip musicale è un linguaggio che ha regole del tutto diverse da quelle delle altre forme cinematografiche; se da una parte, così come accade per il cortometraggio, una delle prime cose da assicurarsi è di trovare il modo di colpire lo spettatore avendo solo pochi minuti a disposizione, dall’altra è anche vero che la vera sfida di un video musicale sia quella di valorizzare la musica al massimo, e allo stesso tempo (soprattutto nell’era di internet e YouTube) creare qualcosa tanto d’impatto da spingere l’utente a cliccarci sopra continuamente e, nel migliore dei casi, diventare virale. Nel tempo, molti registi si sono specializzati in video musicali: è il caso di Floria Sigismondi, Anton Corbijn e Chris Cunningham. Altre volte, invece, registi cinematografici hanno ceduto alla tentazione di provare a sperimentare con questo linguaggio alternativo: in questa lista, la spiegazione di alcuni dei migliori video musicali curati da registi che gravitano negli ambienti del cinema indipendente e d’autore.

Jonah Hill - “Ain’t it funny” di Danny Brown (2017)

Un anno prima del lungometraggio d’esordio Mid 90s (2018), l’attore e regista Jonah Hill dirige il video di Ain’t it Funny di Danny Brown, brano in cui il rapper di Detroit racconta dei suoi problemi di dipendenza da droghe ironizzando sul fatto che, non riuscendo ad uscirne in nessun modo, la scelta migliore sia proprio ridere del suo stesso comportamento nocivo. Per rappresentare visivamente la frustrazione auto-ironica al centro del brano, Jonah Hill mette in scena il set di una classica sitcom anni ’80 insieme al suo cast: Danny Brown è “Uncle Danny”, Gus Van Sant, regista ammirato da Hill, è il padre di famiglia, e Joanna Kerns, direttamente dalla sitcom Growin Pains (Genitori In Blue Jeans) è la madre. Il personaggio interpretato dal rapper è bloccato in una sitcom in cui la live audience non fa che ridere delle sue richieste di aiuto, che seppur esasperate e continue, non smuovono il resto dei personaggi che recitano senza sbavature il loro ruolo patinato; a causa di ciò “Uncle Danny” finisce per uccidere tutti i componenti della sua famiglia televisiva e viene ucciso dalle droghe di cui fa abuso. “Sono contento che abbiate trovato il mio dolore divertente” dice il rapper alla fine del video, che è la perfetta traduzione visiva del titolo dell’album che contiene il brano, Atrocity Exhibition (tratto dal nome del libro di J. G. Ballard, La mostra delle atrocità); Jonah Hill dirige così un video divertente dal retrogusto amaro, sulle conseguenze della fama, della depressione e della dipendenza, e sul fatto che, seppur sotto la luce dei riflettori, se nessuno riesce notarti e ad accogliere le tue richieste di aiuto tanto vale ridere di se stessi.

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Gaspar Noè - “Love In Motion” di SebastiAn (2012)

Il regista Gaspar Noè, che da anni porta avanti una collaborazione artistica con l’etichetta francese Ed Banger (Thomas Bangalter dei Daft Punk ha composto la colonna sonora di Irreversible (2002) e di Climax (2018), dirige, nel 2012, un video per il brano del musicista SebastiAn, Love in Motion. Come per gli altri artisti della Ed Banger, il brano di SebastiAn viaggia sulle sonorità distintive del French Touch, e l’immaginario caotico e allucinogeno del regista argentino è una scelta perfetta per accompagnarle. Noè decide, dunque, di accompagnare il brano con le immagini distorte (come da suo marchio di fabbrica) di una bambina che balla così come facevano le grandi dive nei loro video musicali dell’epoca, con abiti ma soprattutto movenze piuttosto “adulte”: a riprenderla, nella sua cameretta, un suo coetaneo, forse il fratellino. Dietro ad un video perfetto per diventare immediatamente virale, grazie ad una componente estremamente controversa, si nasconde però un’operazione ben più sottile ed intelligente: Noè ci fa riflettere non solo sulle conseguenze che un immaginario (quello delle grandi dive nei videoclip) ha sui più piccoli che cercano di imitarlo (chi di noi non ha almeno una volta ballato come Madonna o come Lady Gaga nella propria cameretta?) ma soprattutto ci costringe a meditare su dov’è che risiede lo sguardo che “sessualizza” quello che ci viene messo dinnanzi agli occhi. Con un gioco molto fine, Noè filma delle immagini, ma fa sembrare che a farlo sia qualcun altro, qualcuno che non può che essere innocente, e ci dice che probabilmente, la maggior parte delle volte è l’occhio di chi guarda a rendere controverso quello che potrebbe essere un semplice e innocuo gioco tra bambini.

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Romain Gavras - “Born Free” di M.I.A. (2010)

Girato in California nel 2010, il video musicale del singolo Born Free della rapper inglese M.I.A., diretto da Romain Gravas, è a tutti gli effetti un cortometraggio d’autore che potrebbe trovarsi nella selezione di uno dei festival del cinema mondiali. Questo è uno di quei casi in cui, nonostante la fama del brano, non c’è dubbio che il numero altissimo di click sul video siano dovuti alle immagini che, in questo caso, non fanno solo d’accompagnamento alla musica. In un videoclip di 9 minuti, Gravas crea un’atmosfera grottesca e straniante mettendo in scena una riflessione sull’assurdità di compiere un genocidio in cui le vittime vengono scelte secondo una caratteristica genetica: avere i capelli rossi. Esasperando una parabola sugli eventi della seconda guerra mondiale, il video di Born free è poetico pur mostrando scene crude e violente che, tuttavia, non riuscirono a salvarsi da un ban temporaneo che YouTube US e UK attuarono al momento dell’uscita del video. Nello stesso anno Gavras dirige il film Our Day Will Come, prodotto dall’attore Vincent Cassel e che ha come protagonista proprio un ragazzo dai capelli rossi e, nel 2018, il suo film Le monde est à toi viene selezionato alla Quinzaine des Réalisateurs, una selezione indipendente del Festival di Cannes.



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Gus Van Sant - "Under The Bridge” dei Red Hot Chili Peppers (1992)

Immerso in atmosfere oniriche, il video di Under the Bridge è il risultato dell’incontro tra una delle band e uno dei registi più iconici degli anni ’90: i Red Hot Chili Peppers e Gus Van Sant. Il regista americano di Elephant (2003) e Good Will Hunting (1997) viene scelto per dirigere il video del brano tratto dall’album Blood Sugar Sex Magik dopo aver fatto amicizia con il bassista del gruppo Flea sul set del film Belli e dannati (1991) che, tra i più amati di Van Sant, ha come protagonista la coppia Keanu Reeves-River Phoenix. Per Under The Bridge, il regista americano ritrae i componenti della band in un etere di nuvole viola e di stelle attraverso una computer graphic volutamente rozza ed irrealistica, piena di luci neon e dissolvenze quasi lynchiane. Frusciante suona nel bel mezzo di un deserto, e Anthony Kiedis cammina lungo le strade di Los Angeles mentre la videocamera si sofferma con particolare attenzione sui volti dei passanti; scene girate in studio si alternano a quelle in esterni, seguendo le note di un brano bellissimo che, grazie anche al video dell’acclamato regista, entrò immediatamente a far parte dell’immaginario della cultura pop.

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Harmony Korine - “Sunday” di Sonic Youth (1998)

La storia del video di Sunday della band inglese Sonic Youth, ha al suo interno una serie di coincidenze ed avvenimenti che, messi insieme, contribuirono alla realizzazione di un video impresso indelebilmente nell’immaginario underground come in quello mainstream; Thurston Moore, cantante e chitarrista della band, aveva conosciuto il giovanissimo regista indipendente Harmony Korine grazie al film Kids (1995), di Larry Clark, per cui Korine aveva scritto la sceneggiatura: la band, che cercava un gruppo di ragazzini che potessero recitare nel video di Sugarcane, si mise dunque in contatto con Clark per avere il cast di Kids nel video musicale, in cui, insieme a tutti gli altri, appare l’iconica Chloe Sevigny che all’epoca era la fidanzata di Korine.

Thurston strinse amicizia con quei ragazzini che passavano le loro giornate a fare skate nello stesso quartiere dove lui e la bassista del gruppo, Kim Gordon, vivevano insieme; Chloe fece anche da babysitter alla loro figlia Coco in più di un’occasione. Fu così che arrivò l’idea di dare il compito di dirigere Sunday al giovane Harmony Korine, che all’epoca aveva già esordito con il controverso e, adesso cult, Gummo (1997). Korine riuscì ad ottenere, per il video di Sunday, la partecipazione del celebre attore Macaulay Culkin, cioè Kevin McCallister di Mamma, ho perso l’aereo (1990), che non era nuovo al mondo dei video musicali: era infatti già stato protagonista del famosissimo video di Black Or White di Michael Jackson; dopo la sua intensa fama da Child-star, Culkin aveva rivelato a Korine di volersi ritirare dalle scene per un pò, ma con sorpresa del regista e della band, accettò subito la proposta di partecipare al video di Sunday. Nel videoclip, che segue due storylines, si alternano immagini di Macaulay a quelle di una ballerina: Culkin interagisce con l’attrice ed ex-moglie Rachel Miner (successivamente protagonista del film Bully proprio di Larry Clark), suona insieme a Thurston Moore, e rivolge lo sguardo all’obiettivo mentre una ballerina con un tutù azzurro sembra allenarsi per uno spettacolo di danza classica. Come avrebbe fatto in futuro con le star disney in Spring Breakers (2012), Korine inserisce un’icona della cultura pop legata ad un immaginario “infantile” in un contesto piuttosto malinconico e in contrasto con la comune accezione del suo personaggio: attraverso l’utilizzo di immagini velocizzate e rallentate, Korine ci racconta due storie, quella di una ballerina simbolo dei sacrifici per la fama ed il successo, e quella di una stella che, al contrario, ha consumato la sua fama troppo velocemente come una meteora. D’accompagnamento ad un brano che parla del giorno della settimana in cui tutto si ferma e sembra scorrere con una particolare lentezza, il regista americano ci mostra i momenti cruciali di due storie in cui il successo acquista due significati completamente diversi.

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Josh e Benny Safdie - "Lost But Never Alone" di Oneohtrix Point Never (2020)

La collaborazione tra Oneohtrix Point Never (pseudonimo di Daniel Lopatin) e la coppia di fratelli registi Josh e Benny Safdie, ha avuto inizio nel 2017 grazie al film Good Time, per cui i due incaricarono il musicista di comporre la colonna sonora originale; due anni dopo, Lopatin scrive la ost per un altro film dei Safdie, Uncut Gems (2019) che viene distribuita dall’etichetta inglese Warp Records (Aphex Twin, Autechre) ed esplorata in un breve documentario caricato su YouTube dal canale ufficiale della Moog Music Inc; quando nel 2020 Lopatin pubblica il suo nono album, Magic Oneohtrix Point Never, è proprio la coppa di fratelli a cui decide di affidarsi per la regia del videoclip di una delle tracce, Lost But Never Alone. Il nono album di OPN esplora un immaginario che ha a che fare con la nostalgia, con una certa estetica lo-fi e una parvenza da trasmissione di un emittente radiofonico FM (tracce come Cross Talk/Radio Lonelys); ai suoni a bassa fedeltà si alternano sonorità futuristiche, mescolando il vintage con non poche incursioni di contemporaneità; è proprio da questo che i Safdies decidono di partire per scrivere il loro videoclip musicale: il video, che si apre con un una serie di immagini d’archivio, ricostruisce (così come faceva Jonah Hill per Danny Brown) il set di una sitcom anni ’80 in cui una famiglia viene scossa dal ritrovamento di uno smartphone nelle tasche del figlio punk e ribelle che ne vuole tenere nascosta l’esistenza; i genitori del ragazzo, spaventati dallo strano aggeggio e dalle immagini oscene che sembrano apparire sullo schermo di questo, finiscono per farlo a pezzi distruggendolo con un martello mentre il figlio si ritira nella sua cameretta eseguendo, in maniera catartica, un numero con la sua chitarra elettrica (in una chiara citazione ad une delle scene del videoclip di Black Or White). I due fratelli riescono così a creare un’atmosfera nostalgica che viene però rotta da un elemento insolito, alieno, che proviene da una realtà futura: un cellulare di cui nessuno riesce a capire la provenienza. Con questa premessa perturbante, i fratelli colpiscono a pieno il segno, e traspongono visivamente quello che OPN racconta nel suo album: gli effetti della nostalgia e della memoria producono spesso ambigui risultati, soprattutto se messi in atto in un tempo così lontano da quello per cui si prova il sentimento nostalgico e che per sempre rimarrà infestato dal presente che li inquina.

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Quentin Dupieux - “Kirk” di Mr. Oizo (1997)

Nel 1997 il regista sperimentale Quentin Dupieux dirige il video di uno dei brani dell’EP #1, distribuito da F Communications, del musicista francese Mr. Oizo; c’è una particolarità, però: i due sono la stessa persona. Mr. Oizo, infatti, non è altro che lo pseudonimo del regista francese, diventato noto al grande pubblico per la sua mascotte “Flat Eric” che, attirando l’attenzione della marca di abbigliamento Levi’s, divenne ben presto un’icona molto diffusa. Oltre ad essere una delle personalità più influenti della scene elettronica europea, Dupieux ha acquisito un titolo rilevante anche nei circuiti cinematografici sperimentali ed indipendenti, soprattutto grazie al film Rubber (2010) presentato alla Semaine de la Critique di Cannes, e ai suoi successivi film come Wrong (2012), presentato al Sundance Film Festival, e tutti gli altri fino a Mandibules (2020), proiettato fuori concorso a Venezia. Nel mentre, Dupieux si è cimentato spesso a dirigere video musicali per i brani dei suoi album ed EP, molte volte ricorrendo al Guest starring del famoso pupazzo giallo Flat Eric, che all’inizio (come nel video di M-Seq (1998) aveva il nome francese “Stèphane”. Nel video di Kirk (1997), però, che risale al primo EP del musicista, non c’è ancora alcuna traccia di Flat Eric o di Stèphane: Kirk ci mostra il dietro alle quinte delle riprese di una scena di un tentato omicidio. L’attore principale è un ragazzo che sta interpretando un personaggio che probabilmente ha proprio il nome di “Kirk”, come suggerisce la frase che qualcuno pronuncia alla fine del video “Deve aver paura che Kirk lo uccida, no?”. Il video segue dunque il set, e tutta la crew che lo compone, mentre si stanno girando delle scene clue, ovvero un inseguimento da parte di Kirk, che ha un coltello tra le mani, ad una ragazza, che cerca di scappare da lui. Durante l’inseguimento, l’omicida rimane incastrato e si strappa per errore una parte della t-shirt. Alla fine della scena, però, Kirk posa il suo coltello e si ferma dinnanzi alla sua vittima che, con un gioco di inquadrature, sembra stia per cominciare a praticargli del sesso orale. Uno zoom in rivela in realtà che la ragazza gli sta solo ricucendo la parte della maglietta strappata. Come in Doppia Pelle (2020), Dupieux rende una cosa apparentemente insignificante come un pezzo di stoffa, la chiave e la risoluzione del racconto, non rinunciando ad una buona dose di black humour e al non-sense che caratterizzano gran parte della sua opera.

Redazione Unkanny